Gita a Vercelli nelle iniziative del Gruppo Terza Età

Si è tenuta mercoledì 24 aprile

Abbiamo ancora negli occhi le meraviglie che abbiamo visto nel corso della visita alla città di Vercelli. Davvero non ci aspettavamo di avere così vicino a noi tante stupende opere d'arte. La prof. Anna Maria Grasso ci ha accompagnati in questa scoperta, ma soprattutto ci ha fatto gustare la visione di affreschi, dipinti, architetture, come se anche noi fossimo esperti di arte.

La ringraziamo tanto e passiamo a lei la parola per una sintesi di quanto ci è stato possibile vedere, perché la giornata è volata via in fretta.

(testo di A. Maria Marchetti Grasso)

“Ci siamo accostati alla bellezza della chiesa di Sant’Andrea e alla percezione della sua importanza architettonica considerando il periodo storico e le molteplici componenti che hanno reso l’edificio un’eccellenza del gotico italiano.

Già eccezionale per le raffinate disposizioni del cardinale vercellese Bicchieri, committente e finanziatore dell’opera, e la pluralità delle maestranze impiegate, la struttura costituisce anche un esempio di rapidità esecutiva straordinario per l’epoca essendo stata edificata in meno di dieci anni. Nata, nel 1229, come chiesa di un’abbazia cistercense, Sant’Andrea filtra - con l’essenzialità tipica di quell’ordine monastico, ritornato all’originaria purezza della regola benedettina - le esperienze stilistiche delle cattedrali d’oltralpe, ammirate dal Guala Bicchieri in qualità di legato papale presso le corti di Francia e d’Inghilterra. Innestati su una solida tradizione romanica, gli apporti emiliani del probabile architetto e scultore Benedetto Antelami e i motivi gotici francesi si fondono in un solenne esempio di rara armonia.

Abbiamo ammirato gli effetti cromatici dell’alternanza di pietre, mattoni e intonaco; lo slancio verso le volte delle sottilissime colonne addossate ai pilastri polistili; le fantasiose allegorie scolpite su capitelli o chiavi di volta; i chiaroscuri creati dalle aeree loggette praticabili, interne ed esterne. E, grazie ai suggerimenti di costoloni e archi rampanti, percepito la peculiarità innovativa del metodo di progettazione gotico, che svincola le strutture portanti da quelle portate. Nella penombra dell’abside, tra le notevoli tarsie lignee del coro cinquecentesco, abbiamo ritrovato il prospetto della chiesa e scorci architettonici che ci hanno suggerito l’immagine medievale di Vercelli e delle sue torri cittadine. Il modello in scala dell’abbazia e la sosta nel chiostro - da cui abbiamo potuto ammirare il raffinato gioco architettonico di logge e arcate su fiancate, torri e monumentale tiburio, e l’intrigante varietà delle mensole scolpite, di scuola francese - ha introdotto una considerazione sull’efficace organizzazione del monastero cistercense e sull’alta spiritualità simbolica degli elementi del chiostro.

La pausa per un piacevole pasto, ricco di specialità locali, ha corrisposto a un salto nel tempo di trecento anni esatti, e ci siamo ritrovati, nella chiesa di San Cristoforo, difronte alla pala d’altare della Madonna degli Aranci commissionata a Gaudenzio Ferrari nel 1529. Nota come “la Cappella Sistina di Vercelli”, la chiesa, ristrutturata nel Settecento, accoglie i visitatori con uno scenografico tripudio di sapienti trompe-l’œil perlacei, ma la sua unicità consiste nella partitura decorativa del transetto, interamente affrescato dal Ferrari tra il 1530 e il 1534. Circa la pala, un bellissimo olio su tavola in cui compare anche il primo violino raffigurato in pittura, gli astanti, privi di binocolo, hanno dovuto fidarsi della guida, che ha descritto le peculiarità iconografiche dei santi rappresentati e assicurato che i famosi aranci sono in realtà... mele. Degli affreschi più prossimi, invece, si sono potuti gustare tutti gli incanti della maturità artistica del pittore, che vi ha trasfuso le migliori suggestioni, ricavate dalla conoscenza dei capolavori della pittura rinascimentale, rielaborate in un personalissimo linguaggio la cui poesia non può essere condensata in poche righe. Delle Storie della Maddalena, in penombra, non si sono potuti cogliere bene i particolari, che ci avrebbero restituito anche una visione della chiesa com’era stata realizzata nel 1515, ma le Storie della Vergine, nei quattro riquadri sulla parete dirimpetto, ci hanno resi partecipi tanto dell’intimità di un interno d’epoca con la Natività di Maria, quanto della sfarzosa eleganza di un corteo di nobili nell’Adorazione dei Magi. Denominatore comune, la fresca e mai stucchevole dolcezza dei volti divini e angelici e la sapiente caratterizzazione degli altri. I particolari degli arredi e delle stoviglie, con l’efficace resa  di peltri e cristalli, sono stati indicati come esempio della perizia tecnica di Gaudenzio nel padroneggiare le impegnative modalità dell’affresco. Nella Crocifissione, penultimo saggio di questo soggetto, prima dell’analogo impegno milanese e dopo la parete varallese di Santa Maria delle Grazie e la XXXVIII cappella del Sacro Monte, abbiamo ritrovato alcuni personaggi di quest’ultima, mentre ammiravamo l’abilità compositiva dell’autore, sempre capace di coinvolgere lo spettatore e di guidarne lo sguardo col suggerimento di  linee sapienti.  Un po’ angeli e un po’ dame, le figure delle Sibille, avvolte nei tortuosi arabeschi dei cartigli, sembrano siglare tutta la  meditata leggerezza dell’arte gaudenziana.

Una breve deviazione sulla via del ritorno ci ha portato nel feudo degli Avogadro di Quinto Vercellese (esattamente a cinque miglia romane da Vercelli), di cui abbiamo sfiorato il turrito castello: ultima meta della giornata la parrocchiale del paese, dedicata ai Ss. Nazario e Celso (martiri del I o del III secolo), i cui corpi furono ritrovati da Sant’Ambrogio. La parte antica della chiesa, già citata nel 964, corrisponde alla porzione centrale della facciata: dal tranquillo sagrato ospitale, abbiamo individuato alcuni campioni del materiale di recupero (sassi di fiume, mattoni romani, frammenti di marmo) da cui era composta, e l’altezza della copertura originaria. All’interno, l’abside corrispondente ospita un arcaico Cristo Pantocrator e l’aquila di S. Giovanni, che ci ha permesso di riposizionare i simboli degli evangelisti ormai quasi scomparsi. Volte e pareti delle più tarde navate laterali, completamente ricoperte di affreschi di maestranze locali del tardo Quattrocento e del primo Cinquecento (ascrivibili alla bottega De Bosis il Beato Amedeo e S. Marta nel presbiterio), sorprendono il visitatore con l’ingenua grazia delle decorazioni e la codificata iconografia -  tipica degli oratori campestri novaresi e vercellesi - di svariati santi, che ci siamo divertiti a riconoscere. Anche qui, dal primo santo a sinistra (un Bernardo d’Aosta, col consueto diavolo incatenato martirizzato dai colpi di antichi fedeli) all’ultimo sulla destra (un S. Giacomo con bordone e conchiglia del pellegrino), segni distintivi, drappeggi, colori e spicce ambientazioni, concorrono nel ricordare l’impegno divulgativo e il valore di queste antiche pareti: talvolta modesti, ma sempre efficaci libri di lettura (la Bibbia dei poveri !) per donare a tutti una visione da ricordare e meditare nelle fatiche del quotidiano.

Prossime Iniziative